Ed è
grazie alla chimica che riusciamo a trasformare un attimo di vita in una traccia che sopravvive nel tempo: sono le sostanze fotosensibili, insieme all’apparato ottico della macchina fotografica, a renderlo possibile.
Tutto ha avuto inizio con la creazione accidentale del primo composto fotosensibile ad opera del chimico tedesco J
ohann Heinrich Schulze che, nel 1727, miscelando in una bottiglia carbonato di calcio, acido nitrico e argento, si accorse che sul lato della bottiglia esposta alla luce solare, si formava un oscuramento. A quel punto ricoprì un foglio di carta bianco con calce e nitrato d’argento, vi sovrappose un altro foglio con disegni e scritte ed espose il tutto al sole: ottenne un’immagine negativa del disegno e delle scritte, la prima fotocopia!
Da questo momento in poi
l’argento diventerà l’elemento di base dei processi chimici della fotografia.
Restava solo un unico, “piccolo” problema da risolvere: l’immagine non era fissata per sempre, ma si anneriva man mano che passavano i minuti.
Ci volle quasi un secolo per riuscire ad ottenere un’immagine stabilizzata nel tempo.
Nel
1837 il chimico
Daguerre, dopo aver sperimentato diversi materiali,
ebbe il cosiddetto “colpo di fortuna”: dimenticò un cucchiaio su una lastra argentata preparata con ioduro e si accorse che l’immagine del cucchiaio era rimasta impressa in maniera nitida sulla lastra.
Nell’evoluzione e negli esperimenti che si sono susseguiti negli anni sono cambiati i supporti (rame, vetro, metallo, carta, celluloide), ma nelle emulsioni fotosensibili l’argento è rimasto l’elemento chimico protagonista indiscusso.
Ma come mai proprio l’argento? Il
numero 47 della Tavola periodica è un metallo lucido e malleabile, sensibile alla luce; in particolare, tra i suoi composti,
il nitrato d’argento è fotosensibile e si annerisce quando colpito dalla luce e per questo viene ancora oggi utilizzato nelle pellicole fotografiche.