La storia del
bario, 56esimo abitante della Tavola periodica, è piuttosto singolare.
Nel 1602 Vincenzo Casciarolo, chimico e alchimista bolognese, trovò per caso alla base del Monte Paderno, sui colli bolognesi, una strana pietra che poteva diventare luminescente se riscaldata, poiché costituita in buona parte da barite (minerale di bario).
Questa scoperta rappresenta la prima osservazione di un fenomeno chiamato fosforescenza.
La pietra fu soprannominata spongia solis o “
pietra di Bologna”.
Il bario fu identificato per la prima volta nel 1774 da Carl Scheele ed estratto nel 1808 da Sir Humphry Davy in Inghilterra. Dapprima battezzato barote da Guyton de Morveau, venne poi denominato baryta da Antoine Lavoisier, che in un secondo momento lo modificò ancora in bario.
Tra i suoi composti, il
solfato di bario, alla vista una polvere cristallina, bianca, inodore e non idrosolubile, viene utilizzato come
mezzo di contrasto per indagini radiologiche sia in ambito biomedicale sia in campo artistico.
Attraverso varie analisi diagnostiche, le radiografie consentono di indagare le varie fasi della
genesi di un’opera, rilevare pitture sottostanti o firme nascoste, risolvere questioni che riguardano
datazione o
attribuzione.
Un esempio? In occasione della mostra
Dentro Caravaggio, oltre 20 opere del grande Maestro sono state passate ai raggi X mostrando il processo creativo dell’artista e le fasi di realizzazione dell’opera.
A svelare il lato artistico dei raggi X e l’insospettabile bellezza di una radiografia è, ancora una volta, la chimica.